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Finecielo ci racconta il singolo “La resa”

Finecielo ci racconta il singolo “La resa”

“La resa” è un brano che parla del momento in cui mettiamo da parte noi stessi, sopraffatti dalle difficoltà della vita. Quando la forza per lottare viene meno e ci concediamo alla mera sopravvivenza, in quel momento smettiamo di vivere e perdiamo il nostro significato.
“La resa” è stato uno dei primi pezzi scritti dal cantautore e anche uno dei suoi primi approcci alla produzione. La musica è stata interamente composta da Finecielo e successivamente registrata in studio con la sua band.

C’è un momento specifico che ricordi come l’inizio della tua carriera musicale?
Il momento ‘folgorante’ in tal senso, il ‘la’ del mio percorso musicale, è stata la visione di una performance di Eric Clapton: Slowhand sedeva al centro di un palco enorme, di fronte ad una folla oceanica, suonando una versione chitarra-voce di Driftin’ blues, famoso brano di Johnny Moore.
La potenza espressiva di un’esibizione tanto semplice, in grado di coinvolgere migliaia di persone, e la profonda visceralità di uno stile musicale al quale mi scoprivo così affine, il blues, mi hanno lasciato senza parole, e mi hanno fatto pensare: ‘Voglio farlo anch’io!’.

Da dove trai principalmente ispirazione per le tue canzoni?
Mi piace pensare che l’ispirazione sia una sottile forma di ‘raccolta’.
Tutt’intorno a noi il mondo s’agita, pulsa e sussurra, e in quest’alternarsi d’atmosfere un orecchio attento può captare un’infinità di spunti: cerco sempre di tenere l’attenzione alta, per non sorvolare sulla vita e su tutto quello che può offrire.
Molto poi lo recupero anche dalle canzoni dei miei artisti preferiti, che diventano una sorta veicolo emozionale per accedere alla mia interiorità, scintille per la ‘miccia’ del bisogno di dire che spesso necessita di sfogarsi.
Ah, dato che siamo in tema, lascio un piccolo appunto: se la signora ispirazione potesse evitare di palesarsi quasi sempre in situazioni di scarsa praticità, mi farebbe un grosso favore. Grazie.

Ci sono temi o messaggi ricorrenti nelle tue canzoni?
Provo un grande fascino per la vita, nella sua interezza.
In diversi pezzi quindi la affronto così, come una grande mamma, come un’interlocutrice unica, quasi sempre senza capirci molto, finendo per accontentarmi di esserci dentro e di ammirarla.
Sono anche molto legato al passato e ai ricordi, data la mia vena malinconica, il che mi porta a riflettere sul ruolo presente di ciò che lasciamo alle spalle.

Quali artisti o generi musicali ti hanno influenzato maggiormente?
Posso individuare le origini della mia passione per la chitarra (e per il canto) nel blues, la prima forma musicale che abbia mai intercettato il mio animo, stregandolo: i motivi alla base del blues, mi hanno fatto comprendere il potere della condivisione, della catarsi artistica, e che un vecchio bracciante dell’Alabama può tenere in scacco il mondo intero con una chitarra acustica scassata e qualche dramma amoroso ben conservato; mi ha anche insegnato una delle lezioni più importanti della mia vita da musicista: usa l’orecchio! Non essendo mai stato una grande studente di teoria musicale, gran parte di quello che ho imparato sullo strumento proviene da un ossessivo ascolto dei miei dischi preferiti, e dal tentativo di emulare ciò che sentivo: è un percorso ostico, ma ripaga immensamente.

L’amore per la canzone italiana la devo invece al grande cantautorato delle origini. Credo sia alquanto evidente la mia discepolanza Faberiana, dal quale ho mutuato anche la passione per il ‘racconto musicale’, ovvero la trasposizione in musica delle storie di vita quotidiana, oltre che una profonda fascinazione per le vicende degli ultimi e dei diversi, dei folli e dei corrotti. Da Guccini a Dalla, da De Gregori a Vasco, passando per il sodalizio iperuranico con Gianmaria Testa, la grande musica del nostro paese si è fusa in quello che potete ascoltare ora, facendomi capire il potere che la lingua italiana possiede nella commistione di musica e versi, e che non abbiamo molto da invidiare in tal senso ai grandi cantautori d’oltreoceano, che pure sono stati per me una grande fonte d’ispirazione.

Concludendo: l’irruenza blues (e direi, traslando, rock) e la dolcezza cantautorale convivono in me, rivelandosi in varia misura a seconda delle occasioni. Proprio per questo non mi faccio mancare niente, e qualche volta ci scappa pure l’assolo selvaggio…senza esagerare.

Come valuti la tua evoluzione artistica nel corso degli anni?
Una sorta di presa di consapevolezza, di processo d’esclusione.
Credo sia una fallace pensare che ‘progredire’ in ambito artistico derivi da una costante e pedissequa aggiunta di nozioni, abilità, sapere; credo piuttosto che derivi dalla progressiva eliminazione delle superflue sovrastrutture che l’animo costruisce su sé stesso per paura di crollare.
E’ questa la grande sfida dell’artista: scolpire la propria essenzialità senza farla andare in pezzi. Questo è ciò che mi prefiggo quindi, giorno per giorno, minuto per minuto: non disunirmi.
E’ un viaggio che dura per sempre.

Qual è la tua canzone preferita da eseguire dal vivo e perché?
Credo sia ‘Maria’, prima traccia dell’album FINECIELO.
Uno degli aspetti che preferisco della situazione live è percepire la carica e l’adrenalina del pubblico, che inevitabilmente finisce per diventare la mia.
‘Maria’ ha quel gusto, è la ricetta perfetta in tal senso, con il suo ritmo festante e il suo incedere di danza, che la rende leggera ed abitabile come nessun altro dei miei pezzi.
Non a caso comincio tutti i miei concerti proprio con lei…e pure li termino!

Da dove è nata l’idea per il tuo nuovo singolo?
E’ nata dal bisogno di far chiarezza su un fenomeno per me molto impattante a livello emotivo: l’abbandono di sé stessi, inteso come deviazione dai nostri principi fondamentali, quelli che regolano il nostro incedere nella vita.
Questo fatto è strettamente legato a ciò che penso degli esseri umani in generale: ovvero che siano portatori ciascuno di un messaggio unico e irripetibile, un gesto che li contraddistingue e che li rende speciali definendone il posto nel mondo.
In tal senso, credo che il senso della vita risieda proprio nell’onorare quel gesto, protraendolo come una sorta di ringraziamento, fino al massimo delle sue possibilità.
E’ per questo che mi colpisce molto a livello narrativo la disunione: quando ci si concede ad una piccola morte, e si getta la vita come un’occasione sprecata.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro in termini di carriera musicale?
Il mio sogno nel lungo periodo è quello ovviamente di riuscire a vivere grazie alla mia arte, cosa che al momento è impossibile, come sempre, all’inizio di qualsiasi percorso.
Nel breve invece credo che…

…scusate devo lasciarvi, è tornata l’ispirazione. A presto!

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