È con grande entusiasmo che oggi abbiamo l’opportunità di addentrarci nel mondo della musica e scoprire più a fondo la band de Le Pietre Dei Giganti. In particolare, esploreremo il brano “Ohm”, estratto dall’album “Veti e culti”, che ha recentemente subito una trasformazione intrigante per mano dell’eclettico musicista Victor Bomì.
Con la sua sensibilità artistica unica, Bomì, noto per il suo coinvolgimento in progetti come Wille Peyote, Lhasa Society, Funk Shui Project, Mauras e Supernino, ha offerto una prospettiva fresca e innovativa ad “Ohm”. Durante questa intervista, ci immergeremo nei dettagli della reinterpretazione della canzone, esplorando come il tribalismo psichedelico dell’originale si intrecci con nuove atmosfere e ambienti sonori arricchiti di echi, riverberi e suggestioni esoteriche profonde.
Ci sono momenti specifici che hanno segnato l’inizio della vostra carriera musicale?
Ricordo una mattina a Firenze, quando ricevetti per la prima volta la chiamata da Marcello Venditti di Overdub Recordings. Dopo aver sentito la nostra demo, ci contattò per proporci “una collaborazione”. Io avevo già 25 anni e l’idea di pubblicare un disco per un’etichetta l’avevo già messa nel cassetto. Non potevo crederci. L’altro momento-evento è avvenuto quasi due anni prima, dopo la fine di una deludente festa di Natale al Polo scientifico di Firenze. Io ero arrivato da poco da Torino e, nonostante il consumo notevole di alcol, non ero riuscito a vincere la timidezza e avevo passato la maggior parte della serata in silenzio, a fumare sigarette. Però, a quanto pare, ero stato notato dalla ragazza di un tipo che conoscevo, così lui mi aveva proposto di andare in macchina con lei ed eravamo andati al Next Emerson, un centro sociale. Siccome mi sentivo troppo gonfio di vino, non ci avrei provato nemmeno con un palo, così ho passato la serata ad intortare Francesco, il chitarrista, colpevole solo di avermi chiesto se suonavo il basso. Non l’avesse mai fatto: si è beccato un pippone etilico di due ore tra Genesis e influenze musicali varie. Da lì comunque ne è nata una cena, poi una grande amicizia, poi l’idea di rimettersi entrambi a suonare, poi un gruppo. Il resto siamo noi adesso.
Da dove traete principalmente ispirazione per le vostre canzoni?
Diciamo che esistono approcci alternativi. A volte vengono fuori dal vissuto, ma più spesso c’è un’idea musicale centrale. Al di là del classico “bel riff”, stiamo provando approcci alternativi, come partire da un ritmo africano o isolano e provare a portarlo dentro la musica rock. Un altro metodo che sto personalmente provando è quello di buttare giù un disegno o uno schema e di ispirarmi a quello. Se impari a mescolare le carte in modo furbo, ti rendi conto che in realtà l’ispirazione non manca mai, bisogna solo trovare delle strategie per stimolarla.
Ci sono temi o messaggi ricorrenti nelle vostre canzoni?
Nel disco precedente abbiamo spesso fatto riferimento alla tribalità, al legame con la terra e tra le persone. In “Abissi”, il nostro primo disco, il concept era più incentrato sull’irrisolto, su quegli, appunto, abissi che si depositano dentro la nostra anima e che ci portiamo dietro nel quotidiano e nella vita.
Quali artisti o generi musicali vi hanno influenzato maggiormente?
In generale, siamo tutti grandi fan della musica rock che ha fatto la storia dagli anni novanta a questa parte. Il nostro “giovinotto” (che quest’anno ne fa trenta) è un grandissimo fan dei Verdena e dei Radiohead ed ha di recente conosciuto la magia dei Motorpsycho. In quello che suoniamo c’è una grandissima matrice stoner, dai Kyuss fino agli All Them Witches, ma si sente che siamo tutti debitori della lezione di band come Verdena, Motorpsycho, Queens Of The Stone Age e anche band più “dark” come gli Ulver, gli Opeth, o i Tool. E, ovviamente, del prog in generale: lo stesso nome della band può anche essere inteso come un omaggio alle band italiane di tanti anni fa. Io nel modo di cantare mi ispiro a Mike Patton o a Cornell, almeno per quanto riguarda la stesura di linee melodiche ed i cambi di registro. Ho imparato un pochino ad urlare cantando per tre anni in una cover band dei Nirvana.
Come valutate la vostra evoluzione artistica nel corso degli anni?
Credo di poter dire per tutti che siamo molto felici della nostra parabola artistica. Siamo riusciti ad affrancarci sempre di più da etichette e generi musicali, per cui ormai potremmo tranquillamente pubblicare pezzi di musica pop o elettronica senza rinnegare noi stessi. L’ecletticità per noi è un valore, nella musica è importante sempre guardarsi avanti, senza rinnegare quello che si è fatti nel passato.
Quali sono le vostre canzoni preferite da eseguire dal vivo e perché?
Una delle canzoni che dà maggiore soddisfazione da suonare è “Quando l’ultimo se ne andrà”. È uno dei pochi pezzi in cui la voce si sente e si distinguono meglio le parole e, di conseguenza, coinvolge maggiormente il pubblico. Inoltre, è un pezzo relativamente scarno, per cui acquisisce valore soprattutto in base alla qualità dell’interpretazione, e questo il pubblico lo sente sempre. Un altro brano che ci piace suonare è Foresta II per la foga che ci mette quando appicciamo tutti assieme le distorsioni. Anche “OHM” è un brano fantastico da suonare: durante l’introduzione improvvisiamo spesso e dilatiamo le atmosfere, improvvisando con gli effetti.
Qual è stata l’ispirazione alla base del vostro ultimo singolo?
Forse, l’idea di provare a fare qualcosa di completamente nuovo. Dopo che Marcello di Overdub ci ha fatto il nome di Victor Bomì, abbiamo visto che aveva lavorato con Willie Peyote e siamo rimasti incuriositi. Poi lui ci ha parlato di un “rework” alla Mogwai anziché di un “remix” danzereccio e l’idea ci è piaciuta subito.
Quali sono i vostri obiettivi per il futuro in termini di carriera musicale?
L’idea è di fare un bel terzo disco, che regga il confronto con l’ultimo e che ci permetta di continuare su questa parabola e di continuare, quindi, di fare la musica che piace e che riscuote successo di critica proprio perché piace a noi in primis. Potrebbe essere anche in cantiere la possibilità di un disco dal vivo, ma di questo, magari, ve ne parleremo una prossima volta.