Gianluca Mazzarella è un cantautore siciliano la cui musica riflette la complessità delle emozioni umane attraverso storie intime e paesaggi evocativi. Il suo ultimo singolo, “Quando ti vedrò,” esplora le delicate sfumature legate ai distacchi e ai ritorni in amore, rivelando una profonda connessione con la vita urbana di Roma e la bellezza della sua terra natale, la Sicilia. Mazzarella ha pubblicato il suo primo album, “Sud,” un’opera che non solo celebra il suo legame geografico con il Sud, ma si rivela anche un viaggio emotivo ricco di riflessioni sulla mancanza e sulla ricerca di significato. La sua musica è caratterizzata da un’eterogeneità sonora che abbraccia diverse influenze, frutto di un percorso artistico che ha visto il cantautore muoversi tra varie città, tra cui Agrigento, Dublino e Bruxelles. In questa intervista, Mazzarella condivide le sue esperienze, le sue ispirazioni e le prospettive per il futuro, rivelando un artista profondamente impegnato a trasformare il dolore in poesia e a raccontare storie che parlano a tutti noi.
“Quando ti vedrò” esplora la delicatezza delle emozioni legate ai distacchi e ai ritorni in amore. Qual è stata l’ispirazione dietro la creazione di questo brano? C’è un momento particolare della tua vita che ti ha spinto a raccontare questa storia?
Sono emozioni decisamente delicate, ma anche complesse, perché meno pirotecniche e immediate di quelle legate a quando ci s’innamora o ci si sta lasciando. Sono carboni da andare a ricercare soffiando sopra la cenere della quotidianità, che li ha lentamente ma inesorabilmente ricoperti, sperando che possano essere ancora ardenti. Sicuramente anch’io mi sono ritrovato a camminare mani in tasca e pensieri in subbuglio per le strade di Roma, in bilico fra la gioia di ritrovare e la disfatta di perdere una persona importante. La canzone peró non è ispirata tanto da un’esperienza personale, quanto dal fascino e dalla bellezza dell’idea, che, le stesse strade, gli stessi scorci, gli stessi sanpietrini bagnati, sono da millenni spettatori muti delle stesse scene, degli stessi stati d’animo.
Il tuo album “Sud” sembra quasi una collezione di racconti dedicati a una direzione geografica, ma anche emotiva. In che modo il concetto di “Sud” ha influenzato il processo creativo del disco? Credi che la Sicilia rappresenti per te un luogo di ritorno o un costante punto di partenza?
Scrivo canzoni da sempre e finalmente, quando ho avuto la possibilità di pubblicare un album mio, mi sono reso conto che la bussola dei pezzi che avevo scritto puntava, sempre, inesorabilmente, verso Sud. Gira che ti rigira, i brani parlavano sempre di quello, anche i pezzi che magari parlano apparentemente di altro. Insomma, più che costruito intorno al suo filo conduttore questo album gli si è proprio attorcinato addosso, tipo vigna. Direi che più che una direzione geografica il Sud si è rivelato un vero e proprio compagno di viaggio. E perchè no, di un viaggio di ritorno visto l’album è dedicato alla mia Sicilia e che la Sicilia é per me metafora del bisogno di rallentare, di ritrovarsi tornando a non aver paura di perdersi, di riconnettersi con se stessi e di racogliere le briciole di poesia cadute lungo il percorso.
L’album affronta il tema dell’assenza, una mancanza che sembra celebrare ciò che non c’è più o non è mai stato. Come hai trasformato questo senso di perdita in uno slancio creativo, e in che modo ciò ha influenzato il tono generale delle canzoni?
Certi vuoti non li riempi mai del tutto e in parte questo è un bene, visto che in natura le correnti esistono proprio perchè esistono dei vuoti da colmare. Montale scriveva “Io sono abituato a cibarmi di nuvole e di lontananza”. E forse è vero che ci si prende un po’ gusto. Del resto l’assenza è un po come quei vini che più invecchiano e più diventano buoni. Cosi succede che più una persona o un posto ti mancano, più ti rendi conto che vengono sempre con te, che camminano con le tue gambe, che parlano con le tue parole, che orientano le tue scelte e le tue idee. Nel mio caso non credo ci sia stato un momento preciso in cui il senso di perdita si sia trasformato in slancio creativo. Ci sono voluti pazienza, gusto dell’attesa, un po’ di pigrizia forse. C’è voluto riuscire a farci pace insomma, con quell’assenza, per inziare ad aver voglia di prendersene cura. E a quel punto raccontarla mi è sembrato un modo sano per circoscrivere il dolore e provare a trasformarlo in qualcosa di bello, in poesia. Una poesia che abbracciasse tutti i Sud del mondo, perche il “Sud” è un modo di stare al mondo, di guardare al mondo. E perchè quella che cantava Astor Piazzolla è una sacrosanta verità: “Si torna a Sud, come si torna sempre all’Amore”.
Hai viaggiato molto e vissuto in diverse città, da Agrigento a Dublino e Bruxelles. In che modo questi luoghi hanno influenzato la tua musica e la tua visione artistica? Trovi che il “viaggio” sia una componente fondamentale del tuo modo di fare musica?
John Steinbeck ha scritto che “non sono le persone che fanno i viaggi, ma sono i viaggi che fanno le persone”. Nulla di più vero. Nell’accresciuta facilità di spostarsi che indubbiamente ai nostri giorni raggiunge un po’ tutti, a me sembra si nasconda il rischio di una certa omologazione, un tentativo di slegare l’esperienza esterna da quella interiore, che priva il viaggio del suo senso piu intimo e rivoluzionario. Ogni spostamento esterno privato del suo potenziale arricchimento interno, rimane un esercizio estetico e fisico fine a se stesso. Un ulteriore disabituarsi a cercare e apprezzare la Bellezza che è davvero ovunque intorno a noi. Continuare a sentire il viaggio come momento di crescita ed incontro è essenziale. E privilegiare la lentezza, imparare i profumi dei posti, i profili dei paesaggi, ascoltare le storie di chi s’incontra, senza nessuna fretta o smania di arrivare, è addirittura, di questi tempi, un atto di Resistenza.E visto che di Sud si parla, penso sia importante anche ricordare quei viaggi disperati di chi non ha scelto di viaggiare, ma in qualche modo e’ stato costretto a farlo, dalla fame, dalla guerra, dal desiderio sacrosanto di una vita migliore. Vero, ho avuto la fortuna di poter viaggiare molto e se Agrigento e Roma sono il cielo stellato in cui i miei sogni sono stati concepiti e custoditi, Dublino e Bruxelles sono la scala che mi ha permesso di arrampicarmi fin su quel cielo, per arrivare almeno a sfiorarli, a fare una carezza a quei sogni.
“Sud” abbraccia sonorità diverse, molte delle quali evocano un arco temporale esteso e variegato. Come sei riuscito a far convivere influenze musicali così distinte senza perdere l’unità del progetto? C’è un filo conduttore che le lega tutte insieme?
Proprio perchè scritto in un arco temporale molto ampio, le sonorità e i temi racchiusi nell’album sono variegati e variopinti. Le canzoni sono figlie di momenti diversi della mia vita e nell’arco di una vita non siamo mai la stessa persona: cambiamo, cresciamo, ci evolviamo o quanto meno proviamo a farlo. Rimanendo peró contenitori per le nostre storie, per le nostre emozioni. In questo senso mi piace pensare ai brani di questo album come semi di fiori diversi che un vento di scirocco ha soffiato da chissà dove nello stesso vaso, e ai quali mi è parso importante dare acqua da bere e sole di Sicilia per nutrirsi.
Guardando al futuro, sei già impegnato nella realizzazione di un secondo disco. Quali temi o sonorità possiamo aspettarci di vedere esplorati nel tuo prossimo lavoro? C’è qualcosa che senti di voler approfondire rispetto a “Sud”?
È vero, c’é nuovo album già in cantiere. Ci saranno storie recenti che mi è sembrato valesse la pena raccontare e storie passate che vorrei contribuire, nel mio piccolo, a proteggere dall’usura della memoria. Ci sarà ancora un pezzo in siciliano e stavolta anche uno in romano. Ci saranno ancora letteratura, viaggi, e spero anche un duetto. Soprattutto ci sarà leggerezza che, come diceva Calvino, “non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto e non avere macigni sul cuore”. E scusate se è poco!