ROMA – Oltre un quarto del mercato dolciario artigianale delle festività è rappresentato da dolci tradizionali, la cui origine affonda nei secoli, che garantiscono un giro d’affari stimato in più di 40 milioni. A rilevarlo una indagine di CNA Agroalimentare condotta tra gli iscritti del settore alla Confederazione nazionale dell’artigianato e delle piccole e medie imprese. Indagine che registra in un anno un balzo significativo: dodici mesi fa, infatti, il giro d’affari delle tipicità dolciarie tradizionali non raggiungeva il 20 per cento (si fermava al 19,5) del fatturato totale dell’artigianato dolciario nel periodo natalizio, quest’anno ha rotto la barriera del 25 per cento. Un fenomeno insieme economico e sociale. Una modifica di abitudini sostenuta in maniera preponderante dai più giovani, per i quali spesso il prodotto tipico rappresenta un’autentica scoperta.
L’indagine di CNA Agroalimentare testimonia lo stato di salute, dopo i brutti colpi assestati dal confinamento in epoca Covid, di queste attività garantite da un numero di imprese ormai superiore alle 30mila: oltre 14mila forni che producono e vendono direttamente dolciumi, più di 12mila tra pasticcerie e gelaterie, perlomeno 3mila pasticcerie che lavorano per terzi.
Anche il mercato dolciario artigianale è dominato da panettoni e pandori ma l’impennata delle produzioni tipiche fotografa una modifica delle abitudini alimentari nazionali. In particolare l’arretramento nel processo di omologazione, anche culinaria, avviato negli anni cinquanta e rafforzatosi nei decenni successivi, sotto la poderosa spinta della diffusione delle tv e della crescita in termini quantitativi e persuasivi della pubblicità commerciale, che ha condotto al dominio del binomio panettone-pandoro, ormai dolci nazionali a tutti gli effetti.
Ma quali sono, regione per regione, i dolci tradizionali, panettone e pandoro esclusi, che vanno per la maggiore nel periodo festivo tra Natale già trascorso, Capodanno ed Epifania prossimi? Partendo dall’estremo nord si passa dal valdostano Lou mecoluen (un pane dolce originario di Cogne) ai piemontesi bonet (in italiano cappello, perché lo stampo originario ricordava il tricorno) e tronchetto di Natale, di origine precristiana, anche se la versione di oggi al cioccolato non ha nulla a che fare con la ricetta dell’antenato. Dal ligure pandolce, una focaccia lievitata ricca di uva passa e di ogni genere di canditi, alla valtellinese bisciola, a base di farina di segale. Dall’altoatesino zelten, un pane fruttato il cui nome deriva dal tedesco zelte (che significa ‘una volta’, appunto perché non è alimento di tutti i giorni), alle friulane gubana e potiza. Tra i dolci dell’Emilia-Romagna emergono il certosino detto anche pan speziale (la cui ricetta è certificata e depositata alla Camera di commercio di Bologna) e il panone di Natale, nella sostanza simile al certosino, diffuso soprattutto nelle campagne. Le principali specialità toscane quali il panforte, raccomandato già dal padre dei gastronomi italiani Pellegrino Artusi, e i ricciarelli sono da tempo apprezzate anche fuori della regione. Nelle Marche sono diffusi bostrengo e cavallucci di Apiro, al mosto d’uva. In Umbria è tempo di panpepato e di torciglione, a base di mandorle; in Abruzzo di parrozzo, versione dolce del pane rozzo al mais, battezzato così da Gabriele D’Annunzio nel 1920; in Molise dei mustacciuoli, derivati dal mustaceus, l’antica focaccia di nozze romana. La Sardegna è terra di papassini, grossi biscotti il cui nome deriva da papassa o pabassa (l’uva sultanina di cui sono ricchi), e di seadas, ravioli ripieni di formaggio pecorino ricoperti di miele di corbezzolo. Del Lazio è tradizionale dolce natalizio il pangiallo, così chiamato per la glassa che lo ricopre, dal ripieno di ricotta e zafferano. Particolarmente ricca è la plurisecolare offerta campana: gli struffoli, i roccocò, i susamielli, le zeppole, i calzoncelli ripieni, comuni anche a molte regioni dell’ex Regno delle Due Sicilie, rappresentano un autentico tripudio degno delle descrizioni di Rabelais nel suo Gargantua e Pantagruel. Famosi sono i pugliesi pasticciotto e carteddate, dalla salsa al vincotto, diffuse queste ultime anche in Lucania e Calabria. Così come calabresi sono specialità quali i fichi chini, fichi secchi ripieni e sovrapposti a due a due per formare una Croce, e i petrali. Per finire trionfalmente in Sicilia tra i ricchissimi buccellati, cannoli e cubaita, in sostanza un croccante a base di frutta secca e miele. In Campania sta spopolando quest’anno “Pomela”, il dolce simbolo (riproduce il pomo dello stemma comunale) della città di Pomigliano d’Arco, ideata da Bruno Antignani presidente di Antichi Borboni (nella foto in alto).
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