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Umbria: 1° Convegno internazionale sul malto e l’orzo da birra in Italia

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GUALDO CATTANEO – La produzione Italiana annuale di birra è pari a 15,6 milioni di ettolitri. La produzione italiana di malto è pari a 78 mila tonnellate, mentre importiamo circa il 60% del malto utilizzato. Le prime due malterie italiane producono il 98% del malto nazionale (pari al 38% del fabbisogno italiano). Mentre la Malteria Italiana Artigianale di Gualdo Cattaneo, collegata al birrificio Mastri Birrai Umbri, produce circa l’1% del malto italiano con una capacità di 850 tonnellate all’anno. Una realtà straordinaria inserita in una regione, l’Umbria, che rappresenta da sola il 20% di tutta la produzione dell’orzo italiano da birra.

Quest’anno però la siccità ha tagliato del 20% il raccolto di orzo per la produzione del malto da birra sui trentamila ettari coltivati a livello nazionale (dati Crea). Il primo semestre 2022 si configura come l’anno più caldo di sempre con +0,76°C rispetto alla media storica: lungo la penisola le precipitazioni si sono praticamente dimezzate (-45%).

Questi alcuni dei numeri emersi da “Malti d’autore”, il 1° Convegno internazionale sul malto e l’orzo da birra in Italia, promosso da Mastri Birrai Umbri e da Malteria Italiana Artigianale nell’ambito dell’Umbria Beer Festival del 23-24 settembre 2022.

“È la prima volta che si svolge in Italia un momento di riflessione sullo sviluppo della birra artigianale italiana. Di grandissima rilevanza per i contenuti scientifici e per il respiro internazionale. Siamo soddisfatti del confronto svolto tra i vari operatori della filiera, dal campo dove si coltiva l’orzo, alla malteria dove l’orzo si trasforma in malto, al birrificio dove i malti diventano birra”. A parlare è Marco Farchioni, owner e manager di Mastri Birrai Umbri, che spiega così le ragioni del convegno internazionale sul malto e l’orzo da birra in Italia. Continua Farchioni: “A 10 anni dalla fondazione, Mastri Birrai Umbri, da sempre ispirata alla filosofia della sostenibilità contadina, ha cercato di fare il punto non soltanto sul proprio percorso nel mondo brassicolo, ma anche sulla crescita prorompente della dimensione artigianale e qualitativa del prodotto italiano, a partire da una filiera agricola che comincia sul campo e, attraverso abilità professionali e tecnologie moderne, arriva sulla tavola dei consumatori. Per farlo ci siamo affidati anche al contributo del mondo scientifico e accademico. Con il loro aiuto vogliamo che si faccia finalmente luce sulla filiera italiana della birra e che venga valorizzato il contributo di tutti i soggetti che partecipano alla filiera”.

La prima produzione della Malteria Italiana Artigianale (M.I.A.) risale al gennaio 2015, appena quattro anni dopo l’inizio dell’attività del birrificio agricolo Mastri Birrai Umbri, uno degli impianti di birra artigianale più grandi d’Italia. Oggi MIA è la più grande malteria di un microbirrificio in Italia se non in Europa. “La Malteria ha una capacità produttiva annua di 850 tonnellate di malto, con un potenziale che può arrivare fino a circa 1300 tonnellate. Trasforma orzo e frumento in malti pils, pale, monaco, caramello e altri speciali convenzionali e biologici in proprio e per conto terzi, ovvero a vantaggio di altri microbirrifici artigianali”. Così Gianfranco Regnicoli di Malteria Italiana Artigianale snocciola i numeri dell’impresa. “La Malteria Italiana Artigianale combina la germinazione e l’essiccamento in un recipiente unico: il tamburo di germinazione/essiccamento. Una innovazione che consente di razionalizzare i costi di impianto con un processo completamente automatizzato e tracciato, pertanto agevola la tutela della qualità e la sicurezza del prodotto, garantendo la rintracciabilità”, spiega ancora Regnicoli.

Il progetto nasce dalla terra: oltre mille ettari di proprietà, infatti, sono coltivati a seminativo con cura e attenzione per fare crescere le migliori materie prime. “L’obiettivo era creare una filiera non solo a chilometro zero, ma a metro zero”, dice Regnicoli. Grazie alla partnership della Malteria Italiana Artigianale con Mastri Birrai Umbri si realizza la filiera della birra più corta di Europa. 

Il malto è prodotto da orzo di campi che circondano gli impianti, fino a massimo 25 km di distanza. Oggi la materia prima per le produzioni di Mastri Birrai Umbri è costituita per oltre il 95 % da malto umbro della filiera prodotto dalla Malteria Italiana Artigianale. 

Aggiunge Regnicoli: “per noi è centrale l’attenzione alla promozione del Made in Italy. In quest’ottica siamo impegnati nella ricerca di cereali da genetica Italiana (Progetti UHT, Malti d’autore, BeerNova) per il recupero di varietà antiche di orzo umbro o del centro Italia e alla loro valorizzazione come cereale da maltare per produzione di birra”. 

La Malteria Italiana Artigianale consente di maltare orzi di piccole aziende, un plus fortemente apprezzato dai birrifici agricoli. Da una parte, la Malteria Italiana Artigianale crea valore aggiunto alla coltivazione e alla birra in cui tale malto è ingrediente, poiché ne garantisce univocamente la provenienza (garanzia di rintracciabilità). Dall’altra, la maltazione per conto terzi mira a dare una risposta alla richiesta di maggiore tipicità e località della materia prima per differenziazione delle birre e valorizzazione del territorio. “Abbiamo dimostrato che è possibile ottenere un malto italiano di qualità con il quale produrre ottime birre. Lo dimostra anche la Medaglia d’argento per il Malto Pils ottenuta al concorso internazionale Malt Cup 2021”, conclude Regnicoli.

Paola Fioroni, vicepresidente dell’assemblea legislativa della Regione Umbria, ha dichiarato che “momenti come questi sono una ricchezza per l’Umbria e la Regione vuole supportarli. Il comparto brassicolo finora è stato sottovalutato. Viceversa, la fioritura di produttori agricoli nella nostra regione è un motivo di vanto e merita di essere sostenuto dalla Regione. È importante puntare sulla territorialità e sul prodotto umbro: anche per questo stiamo lavorando a una legge di tutela del prodotto brassicolo”.

Come ricorda Federico Pallottino rappresentante del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, “quest’anno la siccità ha tagliato del 20% il raccolto di orzo per la produzione del malto da birra sui trentamila ettari coltivati a livello nazionale. Il primo semestre 2022 si configura come l’anno più caldo di sempre con +0,76°C rispetto alla media storica: lungo la penisola le precipitazioni si sono praticamente dimezzate (-45%). La conseguenza è stata una perdita dell’89% dell’acqua piovana annua, pari a circa 270 miliardi di metri cubi. Il caldo anomalo, alternato ad eventi estremi come grandinate e bufere di vento e pioggia, provoca una riduzione delle rese che possono raggiungere i 55 quintali per ettaro”. 

A questo quadro si aggiunga che i cambiamenti climatici e il conflitto in Ucraina hanno provocato un aumento dei costi energetici e delle materie con il risultato che i costi produttivi della birra sono aumentati del 30%. Secondo Pallottino, “non c’è più uno schema preciso di emergenza delle malattie e ci si aspettano cambiamenti sempre maggiori e differenti in termini di forza, capacità e tempistiche di proliferazione. Servono screening più estesi nel tempo e nello spazio. Da qui la necessità di un uso sempre più importante delle tecnologie: per esempio, l’uso di droni low-cost per l’analisi fenolica varietale di parcelle di grano duro e grano tenero e perimetro di orzo e per la stima dell’allettamento, ovvero il ripiegamento fino a terra di piante erbacee, per l’azione del vento o della pioggia”. Tra i vantaggi dell’uso dell’optoelettronica, secondo il Crea, ci sono l’aumento delle superfici analizzate, la riduzione dei tempi di  screening tradizionalmente impiegati in laboratorio, la riduzione dei costi di analisi per campione/unità di superficie e la riduzione del lavoro umano. 

Stefano Ravaglia, della Società Italiana Sementi, dopo aver sottolineato l’impegno della Sis, in collaborazione con Bonifiche Ferraresi, nel miglioramento genetico delle colture, ricorda che “per la realizzazione di una nuova varietà serve un tempo molto lungo: circa 14 anni. Sei anni per l’incrocio e la stabilizzazione dei caratteri, 4 per la valutazione delle performance qualitative e produttive, 2 anni per realizzare il dossier per l’iscrizione all’Ense, 2 anni per la messa a punto di tecniche agronomiche per ottimizzare i risultati”.

La Sis, attenta alla qualità tecnologica dell’orzo per la produzione della birra e alla studio dell’orzo distico, quello più adatto produzione della birra, è stata protagonista del progetto Uht (Umbria Hordeum Typi) per la reintroduzione di varietà di orzo antiche da birra. Tra gli obiettivi: conoscere lo status di coltivazione dell’orzo in Regione e le capacità di adattamento delle diverse varietà presenti ai microclimi regionali. 

Con riguardo alla biodiversità degli orzi italiani, Ravaglia dice : “il presupposto è la sostenibilità economica, servono attività condivise con scambio di informazioni. Abbiamo tanto da capire, nel frattempo abbassiamo i costi della ricerca con le tecnologie”

Antonio Catelani, di Adriatica spa (che produce e commercializza fertilizzanti in tutto il mondo) a proposito dei cambiamenti climatici osserva: “Ormai si va verso un’agricoltura sempre più ingegnerizzata. Una volta le siccità segnavano il tempo ora sono cose che diventano quotidiane. Oggi ci vuole pertanto un’agricoltura condotta per ammortizzare questi stress abiotici”.

Continua Catelani: “La filiera della birra è la prima filiera industriale in italia. Caratterizzata da una continua ricerca di equilibrio della materia prima, sulla base della collaborazione tra agricoltore, maltatore e birraio. A dispetto di questa grande capacità di innovazione, la filiera della birra è stata sempre discriminata. Le sue domande non hanno mia avuto risposta. Basti pensare che la birra è un prodotto alcolico gravato per il 30% del costo dalle accise. Sul seme dell’orzo da birra insiste il 10% di iva. I fondi vanno solo alla filiera del grano duro. Insomma, la filiera della birra è avanzata ma discriminata, forse perché si pensa che è un prodotto industriale. Adesso, dopo 30 anni di battaglie, serve un sostegno agli agricoltori”. Catelani sottolinea un altro elemento chiave della filiera: “la particolarità dell’industria birraria è che i birrai condividono la ricerca. Vogliono solo un determinato malto e questo ha regolato tutto ciò che c’è a valle: per 7-8 milioni di tonnellate di orzo da birra ci sono 15 varietà al massimo. Viceversa, nel mondo della pasta, per un milione 200mila tonnellate di grano esistono 150 varietà perché i pastai non sanno fare sintesi e non governano la filiera. Ecco perché gli agricoltori dell’orzo non devono essere figli di un dio minore”.

Mauro Pellegrini, presidente Unione degustatori birre, presentando la prima parte dei lavori, ricorda che “investire su orzo e malto italiano deve diventare la strada maestra per il movimento della birra artigianale italiana. In particolare, i birrifici artigianali dovrebbero lavorare su tre linee di sviluppo. Investire sul prodotto italiano, consapevoli che ne possono derivare birre di grande qualità e piacevolissime da bere. Fare squadra tutti insieme (e con i produttori agricoli e le malterie esistenti sul territorio) per rafforzare l’impatto della filiera artigianale italiana e il movimento brassicolo nazionale. Imparare a concepirsi come aziende a tutto tondo, capaci non soltanto di realizzare ottime birre, ma anche di fare marketing e comunicazione di qualità, raccontando le caratteristiche del territorio di riferimento, proprio come sta facendo ormai da un decennio Mastri Birrai Umbri”.

Fabio Scappaticci della Malteria Saplo (dove l’orzo viene trasformato in malto per la produrre la birra Peroni), racconta: “Gestiamo dei campi sperimentali con varietà già approvate ma la malteria le deve valutare. Copriamo la fascia centrale dal Tirreno all’Adriatico: si tratta di areali con condizioni pedoclimatiche molto diverse, ecc. L’Umbria rappresenta il 20% di tutta la produzione dell’orzo da birra”. E continua: “l’orzo italiano è molto sano. Saplo sceglie tutto dall’inizio alla fine, dalla scelta varietale alla semina alle coltivazioni. Tra agronomo-maltatore-birraio deve esserci un dialogo necessario in vista del prodotto finale. Nel team di Saplo abbiamo 3 agronomi su 6. Noi maltatori siamo ancora molto pochi in Italia ma il maltatore è il pivot della filiera”.

Ombretta Marconi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali Università di Perugia e ricercatrice del CERB, (Centro di ricerca per l’eccellenza della birra) di Perugia ha raccontato il progetto Malti d’autore orientato all’utilizzo di ozi antichi umbri ispirato a principi di base come dil legame con il territorio, la sostenibilità e la qualità. Il progetto ha ottimizzato il processi di produzione della birra da malti ottenuti da orzi antichi locali.

Michele Sensidoni, mastro birraio di Mastri Birrai Umbri, racconta: “Mastri Birrai nasce nel 2011 e, a partire dal 2015, abbiamo anche una malteria interna. Noi siamo un birrificio agricolo: una azienda integrata nella produzione e nella vendita diretta di birra agricola e nella produzione di malto come attività connessa. Per questi motivi siamo legati alla stagionalità della produzione agricola che richiede pianificazione e capacità di stoccaggio e che è legata alla variabilità della qualità media del raccolto. In presenza dei cambiamenti climatici siamo chiamati a salvaguardare il nostro territorio, la fertilità dei campi e le risorse idriche. Tutto il nostro lavoro è organizzato sulla base di processi sostenibili”. Poi continua: “In 12 anni sono nate numerose aziende in Italia che producono non solo il loro orzo o il loro luppolo, ma che in alcuni casi trasformano l’orzo in malto, sviluppando vere e proprie filiere. Poter contare sul malto d’orzo a km0 ci offre una serie di vantaggi: produzione in base alla necessità, “freschezza” del malto, feedback immediato, tracciabilità e rintracciabilità, originalità del gusto, valore del brand e possibilità di story telling. Per me avere il maltatore come vicino di casa è un grandissimo pro”. E gli svantaggi? “Ovviamente il cambiamento e la risposta al mercato può essere più lento, così come l’adattamento e la sostituzione della ricetta”.

Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana, avverte: “Birrifici artigianali a rischio con il crollo del 34% del raccolto 2022 dell’orzo per il malto rispetto all’ultimo anno prima della pandemia a causa di siccità ed eventi meteo estremi, mandando in crisi una delle filiere più importanti per la produzione Made in Italy, mentre esplodono i costi dell’energia aumentati del 180% a causa della guerra in Ucraina”. Secondo Schizzerotto, “negli ultimi 4 anni (2019-2022) c’è stata una diminuzione della coltivazione e della resa, passando da 36 mila ettari di orzo del 2019 ai 30mila ettari di quest’anno. In questo scenario, è necessario sostenere i produttori di birra artigianale italiana con la stabilizzazione del taglio delle accise per non mettere a rischio un’intera filiera di alta qualità del Made in Italy con effetti sulla produzione, i posti di lavoro e sui consumi. La filiera della birra artigianale italiana conta infatti 1085 attività produttive in tutto il territorio nazionale che, dal campo alla tavola, danno lavoro a circa 93.000 addetti, per una bevanda i cui consumi sono destinati quest’anno a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale di 2 miliardi di litri generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 miliardi di euro”. 

Conclude Schizzerotto: “Pensare sempre più pensare la birra con un sistema italiano. Le risorse ci sono: basti pensare che due grandi aziende che producono malto in Francia e in Germania lo fanno grazie all’acquisto di orzo dall’Italia. Serve valorizzare il prodotto italiano artigianale da filiera agricola italiana: creare birra usando solo materia prima italiana con un percorso virtuoso che può sostenere l’intera filiera”.

“Eventi come questi sono fondamentali per creare comunità”, ammette Hannah Turner, rappresentante dell’Amba, l’American Malting Barley Association, l’associazione che offre sostegno alla filiera produttiva e alla qualità della birra negli Stati Uniti. Secondo Turner, “l’impatto economico della filiera in America è pari a 685 milioni di dollari, il 60% dell’orzo coltivato usato per la birrificazione è una percentuale molto importante. Sono molti i programmi di ricerca per la birrificazione dell’orzo e sempre più numerosi i birrai che cercano di attingere all’orzo locale”. Quest’anno la siccità ha colpito anche gli Usa, dunque, dice Turner, “ci stiamo concentrando sulla sostenibilità e sulle varietà capaci di resistere alle condizioni più difficili nella logica della sostenibilità e della resilienza”. In generale, nel 21° secolo la crescita della birra artigianale ha creato nuovo interesse nel malto. “I produttori 

chiedono info sulle materie prime e riprendono le tecniche di produzione artigianale di una volta. La mia associazione nasce da questo movimento. Ci sono 8 malterie che producono malto secondo la tradizione e sono venute in Europa per imparare e riscoprire i segreti della tradizione. L’Amba cerca di aumentare conoscenza, qualità e innovazione e definisce la categoria di maltatore professionale. Le piccole malterie rispondo a questi parametri: la produzione è inferiore alle dieci tonnellate di orzo, il 50% dei cereali proviene da un raggio di massino 804 km e la fabbrica deve essere indipendente”. L’obiettivo di Hannah Turner? “Vorrei creare una maggiore congiunzione tra maltatori e birrai. Il malto artigianale cresce e arriva alla birrificazione artigianale, ma siamo ancora indietro di 15 anni rispetto all’altra filiera industriale. Intanto, i membri dell’associazione aumentano: sono 67 nell’America del Nord, con 35 malterie funzionanti. Siamo alla ricerca di un connubio tra esigenze della maltazione della birrificazione e vogliamo creare un senso di comunità tra maltatori e birrai”.

Interessante la testimonianza di Luca Tassinati del birrificio artigianale Liquida: “Siamo partiti due anni fa e abbiamo variato i fornitori per offrire una varietà di prodotti. Facciamo soprattutto birre luppolate e ci appoggiamo a Weyermann, Mastri Birrai Umbri e MrMalt. Per noi importante che la materia prima si fresca, buon profumo, buon aroma e che sia costante senza dover riaggiustare i metodi produttivi durante l’anno. Non abbiamo creato una linea di birre standard e così possiamo sperimentare nuovi prodotti: potrebbe essere uno svantaggio ma anche un vantaggio. Puntiamo a prodotti di qualità elevata ma differenziati. Vogliamo spaziare da una materia prima all’altra senza esser legati a una linea base. Stiamo passando dal malto al malto italiano: abbiamo fatto un test e piano piano anche in blend riusciamo a ottenere risultati molto soddisfacenti anche più di prima”.

Manfredi Guglielmotti, consulente tecnico di MisterMalt(azienda che seleziona e distribuisce ingredienti e attrezzature ai produttori di birra artigianale), analizza il 2022: “Il raccolto è nella media: alcune zone di Francia e Germania ha offerto rese inferiori e contenuto di proteine basso, altre zone invece molto bene (UK, nord Europa, Canada), con rese sopra la media. Da registrare gli aumenti di prezzo dovuti principalmente ai costi dell’energia (in particolare in Germania e Belgio) e l’aumento dei costi dei prodotti chimici”. Quali saranno le nuove tendenze? Secondo Guglielmotti, soprattutto tre: la riscoperta delle varietà antiche, l’aumento della richiesta di prodotti Bio e la creazione di malti speciali da altri cereali. “Il confronto continuo tra i vari componenti della filiera – coltivatori, malatatori, birrai e distributori – è sempre più importante. I birrai chiedono soprattutto qualità del malto ((buone rese, profilo aromatico, e performance), mentre la costanza del prodotto resta una sfida per tutti gli operatori della filiera”, conclude Guglielmotti.

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