Ischia: GRE, «tragedia annunciata, responsabilità evidenti»

ROMA – Al di là dell’ineluttabile abnorme pioggia che ha provocato la colata di fango che ha investito tragicamente il territorio di Casamicciola, precarietà e pericolo erano percepite da tempo.

«Come volontari dei GRE – ha dichiarato ENZO STABILE, già comandante per la Campania del Corpo Forestale dello Stato nonché vicepresidente dell’associazione nazionale di protezione ambientale Gruppi Ricerca Ecologica – riteniamo di dover denunciare ancora una volta la mancata sicurezza del territorio, tanto più necessaria quanto più le condizioni climatiche mutate rendono frequenti il fenomeno delle “bombe d’acqua” con conseguenze catastrofiche sull’assetto idrogeologico. quantomeno fuori luogo. L’incremento dei comuni italiani coinvolti nei fenomeni metereologici estremi è significativo: oltre 600 nel 2021, con un incremento del 18%. Non è, pertanto, assolutamente tollerabile un contesto di negligenze come quello che si è verificato sull’Isola d’Ischia con eventi molto simili, nelle cause e negli effetti, verificatisi a breve distanza tra di loro negli ultimi anni. L’assetto geologico – strutturale dei territori dell’isola verde si configura con un rischio idrogeologico molto alto, la cui gravità risulta notevolmente acuita da diverse cause in merito alle quali denunciamo delle pesanti responsabilità».

Come riportato dal quotidiano “Il Mattino” del 27 novembre scorso, “lo scorso agosto quest’area ha subito due incendi molto gravi che si sono estesi fino a Forio e Panza”. I GRE hanno più volte rimarcato la stretta correlazione tra incendi boschivi e frane anche in occasione di recente convegno tenuto ad Avellino su tale materia. Anche le aree limitrofe alla zona interessata alla frana sono, pertanto, gravemente a rischio, anche se il punto dove è avvenuto l’innesco della stessa la causa è maggiormente ascrivibile al peso del ceduo invecchiato.

Per effetto della combustione della sostanza organica presente in superfice, che avviene durante un incendio boschivo, si formano idrocarburi che penetrano in profondità per alcuni centimetri, poi condensano, formando uno strato continuo idrorepellente. Successivamente le abbondanti piogge autunnali danno luogo in tali aree, percorse dal fuoco, ad alluvioni. Il professor Ortolani, a seguito dell’analoga frana avvenuta a Monte Vezzi ad Ischia, stabiliva, in un apposito studio, la stretta correlazione tra le aree percorse dal fuoco nell’agosto 2003 e le zone di innesco della successiva colata di fango. Le investigazioni geoambientali nella zona pedomontana dove si era accumulato il fango delle colate, avevano permesso di rilevare un numero elevato di tronchi e apparati radicali in parte carbonizzati nei flussi fangosi.

Per tale motivo la Legge 353/2000 prevedeva che, da parte dei Comuni, si dovesse tenere aggiornato il catasto il catasto delle aree incendiate, appositamente perimetrate dai Carabinieri Forestali. Tale adempimento è importantissimo perché permette di individuare i bacini idrografici a rischio incombenti su centri abitati e strade, ma le Amministrazioni comunali dell’isola d’Ischia sono pressoché inadempienti a tale normativa. Forse perché arreca fastidio ai proprietari dei terreni, elettori, che subiscono un vincolo sul libero uso dei suddetti terreni.

Continua Stabile: «Sempre rimanendo nel campo della prevenzione, soprattutto i boschi a monte delle aree abitate vanno sempre mantenuti rispettando puntualmente le prescrizioni di massima di polizia forestale. In passato il Genio Civile curava gli interventi negli alvei dei bacini montani, congiuntamente all’azione preventiva svolta dal Corpo Forestale dello Stato. Tuttavia, nel 1972 le competenze tecniche che furono del Corpo Forestale dello Stato sono transitate alle Regioni, alle Comunità Montane, e – nel caso di Ischia – all’allora Provincia (oggi Città Metropolitana): allo stato attuale queste attività, che sono di vitale importanza, sono completamente trascurate ed assistiamo ad un palleggiamento di competenze e responsabilità tra vari enti per cui si verifica un vuoto anche nelle situazioni di maggiore criticità. Il bosco che copriva l’area dove è avvenuto l’innesco della frana era un ceduo invecchiato che andava tagliato con le opportune modalità per alleggerire il peso del soprassuolo gravante su materiale di proiezione vulcanica incoerente, che, che sotto tale peso, è scivolato sul sottosuolo compatto di roccia tufacea. Il taglio, tuttavia, non è potuto avvenire per la carenza da parte della Regione di una regolamentazione sufficiente a regolare una materia delicatissima quale quella forestale».

Nonostante l’evento franoso di Monte Vezzi e quello successivo del 2009 sempre nel territorio di Casamicciola, non si è pensato, come invece fatto a Sarno dopo l’alluvione, di mettere in opera dei pluviometri: dopo una certa soglia di millimetri di pioggia caduta, questi strumenti avrebbero potuto far scattare l’allerta alluvione. Nessuna prevenzione, dunque. Neppure la più ovvia e di semplice attuazione.

«Un’altra analogia, seppure con situazioni di composizione geologica diverse, è senz’altro quella con Monteforte Irpino, accomunato a Casamicciola da un fattore: la cementificazione del territorio

– conclude Enzo Stabile – La popolazione del paese del Parco regionale del Partenio, dove vi è stata una importante frana ad agosto scorso, è passata da 4.000 a circa 11.000 abitanti in pochi anni con conseguente e discutibile sviluppo edilizio. Contestualmente, nelle aree sovrastanti l’abitato di Monteforte è stato aggravato il cambio colturale a castagneto da frutto, creando soprassuoli non leggeri. A seguito delle intense precipitazioni di inizio agosto, le acque piovane hanno acquisito una forza ed una velocità notevolissime, abbandonando gli alvei in cui scorrevano e scavando nuovi canaloni. Per conseguenza, una notevole quantità di terreno e piante sono stati trascinati a valle, ostruendo rapidamente le insufficienti intubazioni predisposte. Nelle aree a rischio i manufatti

abitativi e in generale tutte gli irrigidimenti antropici, oltre l’inopportuna collocazione spesso effettuata negli impluvi o addirittura negli alvei, costituiscono un elemento di per sé negativo, in quanto nelle aree cementate l’acqua scivola senza essere assorbita gradualmente dal suolo ed acquista velocità e potenzialità distruttiva».

Oltre ciò, va stigmatizzato che la Regione Campania non abbia ancora effettuato uno studio sulla efficacia dell’azione di tutela idrogeologica delle specie forestali, indispensabile per comprendere il comportamento delle specie in correlazione dei terreni e delle rocce.

Il territorio ischitano, come è noto, è disseminato di decine di migliaia di costruzioni e opere di impermeabilizzazione dei suoli che nel tempo hanno occupato i vecchi terrazzamenti agricoli, interventi realizzati in difformità seppur in totale assenza di strumenti regolatori del territorio e per decenni in attesa di concessioni edilizie in sanatoria che probabilmente non vedranno mai concludere il proprio iter valutativo perché non potrebbe che essere un’ordinanza di demolizione. Come per il catasto delle aree percorse dal fuoco mai creato per una discutibilissima scelta di cattiva politica. Sussiste, tuttavia, la presenza degli alvei, riscontrabili catastalmente, come quello in cui è avvenuta la frana, a ridosso e dentro il quale vi sono abitazioni.

Per i Gruppi Ricerca Ecologica è inaccettabile l’insufficiente manutenzione di alvei e briglie, interventi indispensabili per mitigare il rischio idrogeologico – fenomeno comune a tutto il territorio della Regione Campania e in particolare al sistema dei Regi Lagni -, come la mancata realizzazione di indipsensabili opere trasversali nemmeno nei casi in cui sono già finanziate, e finanche della mancanza del piano per il dissesto idrogeologico della zona. Senza prevenzione, le tragedie sono inevitabili. Che almeno si accertino le responsabilità!

 

 

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