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Arriva la patente per definire il vero Sushi giapponese e sarà rilasciata da un’azienda italiana

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ROMA – Italia, Giappone, Sushi. Cosa tiene insieme queste tre parole? Sembra curioso ma curioso non lo è. Un Ente di certificazione, con sede a Venezia, ha avuto il compito di certificare quando definire davvero giapponese il Sushi. Una sorta di patente di qualità che riduce le distanze fra il Sol Levante e il nostro Paese e che, di fatto, è valida in tutto il mondo: “La norma UNI CEI EN ISO/IEC 17024:2012 -spiega Giuseppe Izzo, Ceo di UESE ITALIA SPA, la società veneta che ha ricevuto l’incarico- obbliga di attestare se una determinata persona, valutata da una terza parte indipendente secondo regole prestabilite, possegga i requisiti necessari e sufficienti per operare con competenza e professionalità in un determinato settore di attività. Uno dei principali vantaggi per le organizzazioni (ristoranti, negozi e così via), è quello di garantire le competenze vantate da parte del professionista, in quanto la certificazione delle competenze permette di creare un sistema unico che facilita il riconoscimento tra professionisti di nazionalità diverse. Sul Sushi, tocca a noi definire le regole e i requisiti dei professionisti del settore e certificare i processi. Il tutto sarà pronto entro l’anno e permetterà di riconoscere il Sushi vero, il Sushi doc”. 

Un fatto rilevante, visto che il 55% del Sushi oggi in commercio in realtà è taroccato: “Il Sushi originale deve seguire criteri molto rigidi -spiega Daniele Gramiccia. Il processo produttivo prevede una riconciliazione e una rivalutazione dell’esigenza originale per cui nasce il Sushi. Circa duemila anni fa infatti in sushi nasceva in Giappone per il mantenimento del pesce fresco, per questo infatti lo stesso pesce veniva raccolto nel riso fermentato. Da qui si capisce che la scelta delle materie prime e la lavorazione stessa devono seguire quasi un rituale che rispetti le antiche tradizioni. Siamo felici che le piattaforme TATATU e CHILI abbiamo capito e abbracciato la nostra idea, cosi da poterla diffondere in Italia e nel mondo.

 

Procedure che rappresenteranno la spina dorsale del processo di certificazione in corso e che verranno raccolte in un documentario anch’esso tutto italiano: “Nella serie distribuita in 36 episodi della durata di 50 min cadauno -afferma Giovanni Franchini, Ceo di Emy Productions, un broadcast con sede a Roma- abbiamo deciso di puntare ad un contenuto che possa portare alla luce la storia del Sushi e non solo. Puntiamo infatti anche a riscoprire la tradizione Giapponese e la sua contaminazione con la nostra.

 

Il Sushi dunque diventa così alla portata di tutti e ancora più familiare rispetto a oggi: “Capire come nasce e come si produce non è elemento secondario -afferma Izzo. Certo, il consumatore non può fare il detective ma, con il lavoro combinato che stiamo realizzando, avrà comunque gli strumenti per riconoscere quello doc. Ma non solo: certificare i processi e definire le regole e i requisiti dei professionisti del settore significa anche mettere fuorigioco chi quelle regole non le segue. Chi proverà a vendere Sushi che Sushi non è a quel punto verrà penalizzato, mentre chi seguirà le giuste procedure sarà premiato dal mercato. Questo perché i consumatori sapranno dove trovare prodotti fatti a regola d’arte da professionisti certificati”.

 

Giappone chiama, Italia risponde. Non è un titolo di un film poliziesco degli anni Ottanta, ma quello che presto avverrà: “Il nostro lavoro -conclude Izzo– avrà molteplici benefici. Per il consumatore, certo, ma non solo. Sulla base della patente che rilasceremo si verrà a contatto con gli chef stellati di tutto il mondo e si avvierà una catena virtuosa rilevante. I controlli verranno infatti moltiplicati in tutti i Paesi e produrranno di fatto occupazione. Ma soprattutto avremo come italiani una grande soddisfazione, aver dato il bollino di qualità a un prodotto internazionale. Quando si dirà che quel Sushi è fatto ad opera d’arte, la bontà di quello che si sta mangiando sarà anche frutto del nostro lavoro. E di questo, permettetemelo, ne andiamo fieri”.

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